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Etica degli investimenti in arte. Integrazione del valore artistico con il valore commerciale di un’opera d’arte.
Redazione Artingout

MichelangeloParlare di etica degli investimenti in arte sta diventando una vera e propria necessità in questo momento storico. Periodo durante il quale capita sovente che piccoli gruppi di potere, forti di nomi noti in certi ambienti, tendano a chiudere il mercato entro le quattro mura del proprio gruppo creando di fatto una specie di ostruzionismo verso artisti meritevoli e gallerie d’arte emergenti. La televisione, i costi di gestione della quale sono piuttosto elevati, sta condizionando notevolmente il mercato dell’arte e molto spesso assistiamo a televendite di opere d’arte che riducono nettamente le opzioni di scelta per chi si avvicina al collezionismo. Esiste un segmento di investitori in arte che oggi sembra molto più attento alla televendita rispetto a ciò che propone il gallerista. Anzi possiamo affermare che i veri galleristi, i “talent scout” dell’arte in grado di “predire” il futuro degli investimenti, quasi non esistano più. Anche mantenere una galleria ha costi molto elevati e di conseguenza l’attenzione dei galleristi si sposta necessariamente sulla necessità di far quadrare il bilancio. L’investimento in arte ha quindi un serio bisogno di tornare a essere etico, basato sul reale valore artistico ed estetico, sul merito, sul talento, sulle capacità creative e comunicative dell’arte e degli artisti che la propongono. Le leggi del mercato hanno quindi bisogno d’integrarsi con i reali aspetti artistico-innovativi-creativi, perché l’arte è un patrimonio completo sia dal punto di vista dell’investimento che dal punto di vista storico-culturale.
Noi siamo i primi a riconoscere la necessità di comunicazione e di marketing nel settore artistico ma tali strategie hanno un senso quando si vuole offrire opportunità a creativi e artisti meritevoli di poter rendere condivisibile la propria arte come patrimonio estetico e culturale comune. Ricordiamo che anche il concetto di merito è estremamente legato a un giudizio, ma noi vorremmo che tale giudizio fosse l’espressione di un mercato più ampio possibile, rimandando la scelta al vero collezionismo d’arte. Oggi assistiamo a un fenomeno per il quale alcuni speculatori dell’arte decidono aprioristicamente quale sarà il mercato e tendono a condizionare le scelte indipendentemente dal valore “creativo” e dall’innovazione dell’opera e dell’artista. Le cosiddette “grandi gallerie” tendono a cortocircuitare il mercato proponendo decine se non centinaia di opere, sempre degli stessi autori. In questo caso può essere chiaro che la galleria abbia stipulato con l’artista un contratto di esclusiva (o una pseudo-esclusiva) e potrebbe far circolare il nome dell’artista all’interno di un circuito ristretto di collezionisti che, legati tra loro, ne esaltano il valore nel loro “piccolo” ambiente. Quando parliamo di “pseudo-esclusiva” ci riferiamo alle esclusive di fatto che però non sono sigillate da un contratto registrato. Si evidenzia quando, nei fatti, una galleria in particolare detiene la maggior parte delle opere di un artista. Lascia libertà all’artista o ad altre gallerie di vendere ma, nei fatti, acquistando grandi quantità riesce a ottenere sconti rilevanti nell’acquisto e, di conseguenza, le altre gallerie troveranno molta difficoltà nell’essere competitive sul prezzo. Questo diviene un vero e proprio problema soprattutto per gli artisti che producono opere dozzinali, spesso quasi uguali le une con le altre, dove la piccola galleria può trovare difficoltà a reperire quel pezzo “unico” in grado di rappresentare un vero e proprio investimento per il futuro.
Altro caso sono le gallerie che rappresentano una piccola lobby di pochi artisti riuniti in un solo circuito esclusivamente per dividere le spese senza quindi permettere l’accesso ad artisti diversi da quelli che pagano il mantenimento della galleria. Queste sono gallerie in effetti oligo-artistiche. Quindi troviamo artisti che sono esclusivamente inseriti in una sola galleria e pertanto difficilmente esportabili al di fuori di quel circuito ristretto.
Questi atteggiamenti di chiusura però sono destinati a implodere nel lungo periodo soprattutto se il mercato si restringe a uno specifico territorio locale/nazionale. Quando un collezionista o un investitore in arte trova difficoltà a piazzare l’opera acquistata all’esterno del circuito di chi l’ha proposta, nei tempi accettabili per gli investimenti (non meno di 5 anni), probabilmente è incappato in questi “giochi di potere”. L’arte ha necessità di tornare a parlare di valore intrinseco di espressione, comunicazione, creatività, capacità, talento dell’artista ovviamente con la consapevolezza che l’arte giudica se stessa e non ha né limiti né vincoli. Allora l’investimento è davvero per il futuro. Acquistare ciò che entrerà nella “storia dell’arte” è ovviamente più raro ma acquistare opere di artisti che nel futuro rappresentino un tassello significativo della cultura dell’arte è assolutamente possibile e significa anche credere nella propria capacità di scelta.
L’opera deve poter mantenere il suo valore di unicità mentre oggi si vedono produzioni, come accennavamo, piuttosto dozzinali, sempre uguali a se stesse. Gli artisti contemporanei che si dedicano a quell’arte definita informale, estremamente astratta o a digital art ovvero a produzioni artistiche che impiegano tempi piuttosto limitati di realizzazione, a volte spinti da esigenze prettamente economiche, tendono a una iper-produzione e a volte si trovano a vendere in blocchi a prezzi molto ridotti rispetto alla quotazione. Una modalità questa che crea un benessere temporaneo all’artista ma che potrebbe condizionare in modo negativo il mercato dell’arte a livello internazionale, sempre ovviamente con le dovute eccezioni. Perché comunque tra gli artisti che operano tali scelte ci sarà sempre qualcuno in grado di diventare un preziosissimo investimento e un “big” della cultura dell’arte.
Comunque sia, quando tutti hanno un’opera originale di un determinato artista allora quell’artista ha meno probabilità di crescere di valore perché sta saturando il proprio mercato. Quando invece tutti hanno una riproduzione di un’opera unica, come i girasoli di Van Gogh, ad esempio, allora significa che quel pezzo è davvero pregiato e la maggioranza si deve accontentare di averlo stampato o riprodotto. I veri collezionisti, gli amanti dell’arte, gli appassionati del talento artistico cercano nei luoghi del non ancora conosciuto, ammirano aspetti come l’originalità, la creatività e la capacità comunicativa di un’opera e dell’artista che la crea. I veri collezionisti d’arte tutelano il bene che hanno acquistato.
Però. oltre e parallelamente alle poche gallerie che cercano di gestire quasi tutto il mercato dell’arte oscurando a volte gli emergenti, ci sono molte realtà che oggi sembrano isolate dove però è possibile cogliere il vero investimento, il nuovo talento. Ci sono nuove gallerie d’arte nelle quali sono esposti giovani artisti, curricularmente parlando, di notevole pregio, troviamo reali talenti, che possono andare da pregiati esecutori e profondi conoscitori delle tecniche pittoriche, della grafica, scultura, del disegno, della fotografia fino ai creativi e innovatori dell’arte che sanno anticipare il futuro. Quando parliamo di “etica dell’investimento in arte” ci riferiamo alla capacità di chi acquista arte di individuare un bene artistico e diventare artefice diretto della sua crescita, senza affidarsi esclusivamente a pochi gruppi di potere che hanno lottizzato il mercato dell’arte. Fidarsi più di sé stessi, del proprio gusto e delle proprie capacità di individuare un creativo o affidarsi a consulenti che selezionano artisti sulla base di opportunità di crescita e sviluppo che siano indipendenti dai circuiti chiusi. Un investimento etico produce una maggiore valorizzazione anche commerciale dell’opera e dell’artista sul quale si decide di puntare. Esistono comunque consulenti e suggeritori che sanno indicare strade realmente percorribili, aumentando le probabilità di successo dell’acquisto. L’etica è quindi la capacità di investire in un bene artistico in grado di trasmetterci una reale esperienza, è quando il valore artistico e il valore commerciale di un’opera d’arte sono armonizzati e sembrano coincidere. Allora un’opera può valere anche migliaia o milioni di euro o diventare di valore inestimabile, se è in grado di meritarlo, e comunque sarà un’opera che apprezzeremo perché scelta nel modo giusto, indipendentemente dal suo valore commerciale.
 a cura di
Redazione Artingout
Roma, 16 novembre 2011
 
Come citare questa fonte bibliografica
AA.VV (2011)
Etica degli investimenti in arte
Artingout.com, Roma 5 novembre 2011.